La qualità generale di questo straordinario modello di riadattamento lascia ancora oggi sorpresi: si tratta di un capolavoro di regia e immagini in grado di fare breccia nel cuore dei nostalgici, e farsi apprezzare anche dalle nuove generazioni, nonostante i chiari intenti moralistici e pedagogici che palesemente pervadono il mondo di Pinocchio, e che Comencini ha scelto di non svecchiare, valori precettistici e forse a volte superati che potrebbero infastidire chi non riuscisse a contestualizzare i testi di Collodi nel tumultuoso periodo storico in cui il giornalista fiorentino prendeva in mano la penna.
Il ricordo dello sceneggiato è ovviamente legato ad un magistrale Nino Manfredi nel ruolo di Geppetto che, grazie ad una splendida interpretazione, già di per sé incarna l’estetica realista, polverosa e malinconica che il regista ha scelto per raccontare Pinocchio. Se il film di Benigni cercava di recuperare narrazioni e scenografie baldanzose e fiabesche, Comencini immette la famosa fiaba italiana esattamente negli anni in cui essa venne scritta, più o meno intorno al Risorgimento italiano, e anche se questa decisione ha decretato un vistoso discapito per quella componente fantasiosa e giocosa che forse i bambini avrebbero più gradito, tutto scorre invece così efficacemente che risulta perfino superfluo criticare il regista per essersi discostato in molti punti dal romanzo originale.
La trama la conoscono tutti, ma interessante è la scelta – dettata probabilmente da esigenze puramente narrative – di rendere Pinocchio (Andrea Balestri) un bambino vero fin dalla sua comparsa, e saranno le sue birichinate o le sue buone azioni a determinare il suo aspetto fisico dall’inizio alla fine dell’opera, in cui si mostrano in ruoli più o meno estesi alcuni grandi volti del cinema italiano, un cast nutrito e perfettamente in parte che vede Gina Lollobrigida nelle vesti della Fata Turchina, Franco e Ciccio in quelle del Gatto e della Volpe, mentre un grande Vittorio de Sica è l’ambiguo Giudice che condannerà Pinocchio per essere stato derubato delle sue monete d’oro.
La colonna sonora di Fiorenzo Carpi vanta temi musicali ad oggi ancora riconoscibilissimi, in grado di sposarsi alla perfezione con gli scenari poveri e scalcinati di un’Italia arretrata ma sull’orlo della ribellione, abitata da contadini e pescatori pronti ad imbracciare le armi. Musica e immagini si fondono per creare un’unica magica armonia, che rende il prodotto finale genuino ma estremamente elaborato, realistico, commovente, empatico: così sono Le Avventure di Pinocchio di Comencini, produzione in dovere di fare scuola alle scadenti fiction che invadono oggi il piccolo schermo.
Da Mangiafoco a Lucignolo, dall’Omino di Burro alla Balena, i personaggi ci sono un po’ tutti e trascinano lo spettatore all’interno di un suggestivo sempreverde della tradizione italiana, un’epopea di emozioni in cui trovano spazio il dramma e l’avventura, la commedia e l’amore. Perché in fondo Pinocchio è questo, un inno all’immaginazione ma anche alla coerenza, un affresco di tutte quelle esperienze che messe insieme formano l’avventura di una vita. La nostra vita.
VOTO: 9
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