martedì, 22 ottobre 2024 Ultimo aggiornamento il 21 ottobre 2024 alle ore 10:08

Il cielo diviso

Nell'alveo del progetto 'Liberi di comunicare', le riflessioni degli studenti del Liceo Scientifico annesso al Convitto Nazionale di Assisi sulla quarantena e sul lockdown a seguito della diffusione dell'epidemia da Covid-19

 
Il cielo diviso
Assisi.  «La città, poco prima dell’autunno immersa ancora nella calura dopo la fresca estate piovigginosa di quell’anno, respirava con più veemenza del solito (…). La gente, da tempo avvezza a quel cielo velato, lo trovava improvvisamente insolito e difficile da sopportare, sfogando la subitanea irrequietezza anche sulle cose più remote (…). Ma la Terra la reggeva ancora, quella gente, e finché ce n’era l’avrebbe fatto (…). Un’ombra era calata sulla città, ora era di nuovo calda e viva, generava e sotterrava, donava ed esigeva vita, ogni giorno (…). Viviamo senza risparmiarci, come ce ne fosse anche troppa di questa strana sostanza ch’è la vita, come se non dovesse avere mai fine». Sono alcuni passi tratti dall’incipit de Il cielo divisoDer geteilte Himmel – di Christa Wolf, nella traduzione italiana di Maria Teresa Mandalari per i tipi delle Edizioni e/o. Lì il cielo e il muro dividevano Berlino. Ma i grandi eventi della storia evenemenziale che erano ad essi collegati dividevano anche le persone e, con loro, le storie, gli affetti, i tentativi di evasione, le speranze. Sono passati molti anni da quando Il cielo diviso è stato pubblicato per la prima volta in Germania. Eppure, la storia d’amore di Rita e Manfred, cresciuta e naufragata, così come innumerevoli altre storie, all’ombra del muro di Berlino, non ha perso la sua forza metaforica ed evocativa, messa a dura prova dalla pressione storica. «Il cielo almeno non possono dividerlo» disse Manfred. «Sì, invece – disse Rita –. Il cielo è sempre il primo a essere diviso».

Il cielo è stato diviso di nuovo, a causa dell’epidemia da Covid-19. Un muro invisibile e non tangibile, stavolta, eppure capace di mietere vittime in ogni parte del globo. E che ancora, stando ai dati, in alcune parti del mondo non ha arrestato la sua corsa. Ma non è di dati, stavolta, che vogliamo parlare. Vorremmo, infatti, dare spazio a una analisi che vada oltre la grettezza dell’elaborazione di quei dati. E vorremmo farlo, affidandoci ad alcune, acute, acutissime riflessioni che i giovani, giovanissimi studenti del Liceo Scientifico annesso al Convitto Nazionale ‘Principe di Napoli’ di Assisi hanno scritto nell’alveo del progetto ‘Liberi di comunicare’, promosso durante la quarantena e il lockdown dalla prestigiosa scuola assisana diretta dalla rettrice Annalisa Boni, progetto ideato dalla professoressa Silvia Lombardi e coordinato dai suoi colleghi-docenti.

«Questa pagina del nostro sito – si legge alla voce ‘Liberi di comunicare’ riportata a questo link: http://www.convittoassisi.com/ita/news_home/?IDC=1&ID=721 – ospita riflessioni scritte da studentesse e studenti del Liceo annesso al Convitto Nazionale. Raccogliendo l’invito dei loro insegnanti, essi hanno indagato reazioni, paure, emozioni e speranze maturate in questi giorni inediti e stranianti. Come crediamo si potrà evincere dai testi qui riprodotti, le inevitabili restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria alla libertà di movimento non hanno compromesso quella di pensiero e di parola, che l’istituzione scolastica si impegna a promuovere nella normalità delle lezioni quotidiane perché sia di aiuto nei tempi in cui proprio alla normalità non si deve rinunciare».

Come bene evidenzia questo cappello introduttivo, scritto dal professor Pierpaolo Peroni, gli studenti Alessia Schiattelli, Ilenia Pinna, Costanza Sforna, Tommaso Salari, Emma Tanci, Alessandro Rosati, Aurora Rossetti, Olivia Moretti, Mirko Marani, Gioia Tiberi, Martina Cappelletti, Chiara Selva, Matilde Agrestini, Arianna Ascani, Francesca Catalano, Giorgia Buzi, Virginia Massini, Marta Piobbico, Micol Mela e Flavia Cristaldini hanno rielaborato criticamente gli effetti di una situazione straniante nella quale si sono ritrovati immersi loro malgrado. Lo hanno fatto, producendo illustrazioni – si veda, a tal proposito, la galleria di immagini che correda il link http://www.convittoassisi.com/ita/news_home/?IDC=1&ID=721 –, musiche, testi anche sotto forma di epistolario indirizzato a loro stessi, immaginandosi narratori di un evento storico epocale. Lo hanno fatto, parlando di resilienza, di solitudine, di speranza, di paura, di solidarietà e di senso comunitario d’appartenenza, di spirito di sopravvivenza e di attaccamento alle piccole cose, di cambiamento della percezione e del punto di vista da cui guardare, di frammentarietà e di divisione, di trasversalità di un contagio che ha avuto il potere di intaccare ogni sfera dell’esistenza, da quella fisica a quella cognitiva. Lo hanno fatto, parlando di compassione e di vicinanza pur nella distanza, di lentezza, mancanza e staticità. Rivolgendosi alle stelle, pazienti confidenti, ponendosi molti interrogativi, a volte retorici, rievocando profumi in senso proustiano o montaliano, perché la primavera era arrivata, nonostante tutto e forse ignara di tutto. C’è il bicromatismo – bianco e nero – del virus, in queste riflessioni, ci sono il valore di un’amicizia ritrovata, la funzione della tecnologia come surrogato atto ad accorciare le distanze, un senso di straniamento, di incertezza, di scardinamento e, dall’altro lato, un bisogno di ancoraggio, di solidità e di stabilità che fa rimpiangere loro persino la routine; ci sono un senso di soffocamento, di costrizione, di restrizione, di coercizione e, d’altra parte, una sensazione di leggerezza e di novità di primo acchito; ci sono, infine, il patriottismo, il senso d’appartenenza a una comunità, l’elogio di medici e infermieri, definiti ‘eroici’, voli pindarici dell’immaginazione – quasi a prefigurarsi un tipo di raffigurazione pittorica –, la gioia data dalle piccole cose, l’alternanza tra tempo oggettivo – il tempo-lavoro – e tempo soggettivo – quello delle ‘intermittenze del cuore’ –, un dialogo fitto con se stessi – un leggersi dentro per acquisire una maggiore consapevolezza di sé –, un affidarsi ai libri, compagni e scrigni, e agli autori studiati al fine di condurre uno studio critico e metodico. Numerosi sono gli accenni alle terrazze – indice della maturazione di un nuovo punto di vista da cui guardare, come dai tetti di Palomar – e alla didattica a distanza: i contributi degli studenti del liceo assisano sembrano degni echi dell’Elogio della classe pubblicato l’8 maggio 2020 da Asor Rosa in La Repubblica: «In una classe scolastica – si legge – persino una pedatina che lo studente appioppa al suo compagno sotto l’ala protettiva del proprio banco, persino l’occhiata dell’insegnante che la percorre da cima a fondo per trasmettere un avvertimento, un suggerimento, un ammonimento, rappresentano materia costitutiva del sapere scolastico, mentre si forma, quando si forma per la possibilità concreta di essere e diventare un sapere. Insomma: la ‘comunità fisica’ è un coefficiente indispensabile di una ‘comunità intellettuale’ funzionante».

Ma lasciamo, ora, ‘parlare’ direttamente gli studenti, dei cui elaborati restituiremo, qui, alcuni stralci, rinviando al link sopra-riportato (http://www.convittoassisi.com/ita/news_home/?IDC=1&ID=721) per quanto riguarda le versioni integrali. Le illustrazioni di Alessia Schiattelli, Ilenia Pinna, Costanza Sforna, Tommaso Salari ed Emma Tanci sono visibili cliccando sul seguente link: http://www.convittoassisi.com/ita/news_home/?IDC=1&ID=721. L’immagine posta in evidenza nel presente articolo è rappresentata dall’illustrazione della studentessa Alessia Schiattelli, dal titolo ‘Legami’. Qui ci limiteremo a fornire alcuni passi delle riflessioni scritte dagli studenti.

Si pongono degli interrogativi, Micol Mela e Gioia Tiberi, autrici di due testi in inglese: «How beautiful is it to see people on television all around the world who are playing music from their balconies so their neighbors can dance to it? To see doctors, nurses, and volunteers being there for everybody every step of the way; to see people reaching out to friends and family who they have not heard from in ages just to know how they have been doing? »; e ancora: «What do we do now? Questions and insecurities choke both sides of our personality while they struggle to get to know tiny slivers of each other. Who are you behind the curtain separating your body from the enormity of the arena that is the world?». Intessono un dialogo fitto con le stelle, confidenti e amiche, Francesca Catalano, Olivia Moretti e Aurora Rossetti, che, in occasione del Dantedì, citano un verso celeberrimo del sommo poeta: «E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inferno XXXIV, 139). Riflettono sul significato di ‘normalità’, Arianna Ascani e Mirko Marani, e quest’ultimo lo fa nel modo seguente: «(…) Possiamo ora aprire gli occhi e renderci conto che la cosiddetta ‘normalità’, altro non è che un velo che ci copre il volto e ci spinge a vedere la vita come un ripetersi di azioni, delle quali siamo succubi o addirittura dipendenti, in un circolo vizioso che ci spinge a ripeterle giorno dopo giorno, senza vedere al di là del velo (…)». Si affidano alla temporalità della memoria, invece, Chiara Selva, Matilde Agrestini, Giorgia Buzi e Virginia Massini, scrivendo delle lettere a loro stesse o a una Quarantena personificata o, ancora, immaginando un dialogo tra loro e i futuri nipoti, cui spetterà a loro volta il compito di tramandare ciò che è stato in quell’anno 2020. Lo fanno, divenendo delle narratrici di storie e sottolineando l’importanza dello storytelling quale momento comunitario di condivisione sociale e depositario della memoria. «Credo nella Scienza e ciecamente nell’uomo: siamo molto più di un copione finito in tragedia» scrive Martina Cappelletti, che si affida all’Istitutio Oratoria di Quintiliano, di cui afferma: «quella straordinaria modernità fa pensare solo alla loro presenza, sicura, dietro la cattedra, che si ha paura di non poter più apprezzare, mentre ci rimanevano pochi mesi per essere cullati da una scuola che ci ha cresciuti». Gioca sull’ossimoro forza fragile o fragilità forte, Flavia Cristaldini, che scrive, in chiusa al suo testo: «Così: con una tazza di caffè in mano, nel terrazzo, nel profumo che dilaga, in questa mattina di quarantena, resiliente, è l’aggettivo che mi attribuirei. Quella domanda allora diventa un pensiero fisso, un’eco perpetua, quasi una preghiera che ormai recitiamo quotidianamente: più fragili o più forti?»; mentre Marta Piobbico è convinta che, ormai, «tutto questo sia parte di noi e della nostra vita».

«Il cielo almeno non possono dividerlo» disse Manfred. «Sì, invece – disse Rita –. Il cielo è sempre il primo a essere diviso». Rita ha ragione? La chiusa la affidiamo alla musica dello studente Alessandro Rosati, musica che ha sempre un potere unificatore. Al di là di ogni divisione del cielo.

MELTEDBEATS MLTDEP

Il mio tempo sospeso / marzo 2020

https://youtu.be/NOBrxzdaedY https://youtu.be/k22v53lgzvI

https://youtu.be/NCweSq9KtPQ https://youtu.be/MtzZIhzn8_Y

 

 

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