venerdì, 24 marzo 2023 Ultimo aggiornamento il 17 marzo 2023 alle ore 18:02

‘Uccidiamo il chiaro di luna’

Recensione al convegno, tenutosi a Palazzo della Penna, curato da Michele Dantini, Michela Morelli e Gemma Zaganelli e incentrato sull'entre-deux-guerres in Italia.

 
Perugia.  Il problema della continuità. Tra le due guerre. E quello, stringente, della coscienza italiana, motore, già nell’Ottocento, di un emblematico atteggiamento di autori che hanno fatto il ‘Risorgimento filosofico’, come un Manzoni, come un Leopardi. E, ancora, come un Cuoco, che si rifà a un’origine arcaica, un De Sanctis, per il quale la critica letteraria era un modo per rifugiarsi in un cantuccio di particolare, o un Gioberti, che rivendica il primato, da questo punto di vista, degli italiani. Perché, se il Risorgimento esiste grazie al recupero del passato storico, tale linea storicistica culmina nel ruolo di Gentile, che, come interprete del fascismo, va a chiudere questo processo di coscienza nazionale proprio grazie alla filosofia. È stato un compito molto chiaro e al contempo molto arduo, il suo : ha dovuto concretizzare una dimensione nazionale in un Paese privo di tradizione nazionale, rivendicando l’originalità della filosofia italiana, a volte sintesi di filosofie differenti. Gentile ha, quindi, proposto, e lo ha fatto in maniera cosciente, il ruolo della filosofia italiana, in un’operazione di riscrittura del passato teoretico italiano, individuando nel Risorgimento il punto di svolta della tradizione nazionale. In Gentile gli umanisti assumono il senso di fattori della coscienza italiana. Si tratta della tematica delle due Italie. Il punto fondamentale è che questo discorso permette di individuare in Gentile un taglio morale, e non pedagogico. Lui, che ha collocato il Fascismo come compimento del Risorgimento. Ma tale interpretazione del passato storico pare non finire con la morte di Gentile: l’esempio è offerto da un noto filosofo post-gentiliano, Garin, che si richiama al Rinascimento. Pur esprimendosi, nel 1947, in maniera negativa nei confronti degli studi di Gentile antecedenti alla guerra, Garin accoglie la proposta gentiliana di concludere la storia della filosofia iniziata, appunto, da Gentile. Cosa è successo, cos’ha determinato questa continuità, se è vero che si può beneficiare della centralità immanentista che Garin desume da Gentile?

Questo, il quesito che si è posto Antonio Allegra (Università per Stranieri di Perugia). Queste, le linee essenziali dell’intervento da lui presentato in occasione del convegno ‘L’entre deux guerres in Italia’, tenutosi a palazzo della Penna, a Perugia, e curato da Michele Dantini, Michela Morelli e Gemma Zaganelli. Fra storia dell’arte, storia della critica e storia politica. Il convegno, aperto dal Rettore dell’Università per Stranieri, Giovanni Paciullo, e presieduto da Francesco Federico Mancini (Università degli Studi di Perugia), da Michele Dantini (Università per Stranieri di Perugia) e da Gemma Zaganelli (Università degli Studi di Perugia), ha registrato gli interventi, fra gli altri, di Paola Salvatori (Scuola Normale Superiore di Pisa), dal titolo Le esposizioni storico-politiche del Ventennio e il ruolo degli artisti, di Michele Dantini (Università per Stranieri di Perugia), Renzo De Felice e la storia dell’arte, Alessandro Del Puppo (Università degli Studi di Udine), Ignazio Silone e Clement Greenberg. Le ragioni di una difficile ‘terza via’, Alessandro Romanello (Accademia dei Lincei di Roma), Fascismo e modernità: riflessioni a partire dal Convegno internazionale sull’architettura del 1936, Stefania Petrillo (Università degli Studi di Perugia), dal titolo Il «volto amato» della patria e il Salone del paesaggio umbro del 1930, Aurora Roscini Vitali (Università La Sapienza di Roma), «L’ephémère est eternel». La creazione effmera come possibilità espressiva nel corso del Ventennio, Michela Morelli (Università degli Studi di Perugia), Arte e fascismo: dibattiti e strategie culturali a Perugia e Centro Italia, Andrea Baffoni (storico e critico dell’arte), La propaganda culturale dell’«Impero»: autopromozione futurista e politica culturale, il già citato Antonio Allegra (Università per Stranieri di Perugia), Note su unideologia nazionale. La filosofa e le sue continuità, e Alessandra Migliorati (Università degli Studi di Perugia), con un intervento titolato Il giottismodi Riccardo Francalancia fra memoria storica e attualità nella visione identitaria dellItalia fra le due guerre.

‘Emerge, da parte della storiografia artistica più recente, nazionale e internazionale, dedicata all’arte italiana del primo e ancor più del secondo Novecento – si legge nella nota introduttiva –, la domanda di modelli interpretativi nuovi e di più dettagliati approfondimenti storico-culturali, ad oggi mancanti. In particolare è evidente, da parte di studiosi di lingua non italiana, la difficoltà a accedere a fonti non tradotte e a misurarsi con una più ampia pluralità di testi e voci, primarie e secondarie; giungendo così a un’articolata ricostruzione di contesti. In assenza di un rinnovamento degli studi storico-artistici, intesi questi ultimi anche nel senso di una più ampia e aggiornata storia culturale, si rischia di avanzare interpretazioni arbitrarie o di radicare l’intera ricostruzione del Novecento italiano, dal periodo entre-deux-guerres alle neoavanguardie almeno, a un’antitesi ‘fascismo/antifascismo’ che, pur importante, non sembra storiograficamente risolutiva per un ampio numero di artisti, critici etc. etc.; ed è divenuta da decenni oggetto di discussione da parte di storici politici, scienziati sociali e giuristi delle più diverse tendenze. Soprattutto si è incapaci di cogliere determinate  continuità esistenti, nella storia dell’arte, tra la prima e la seconda metà del Novecento; e di misurarsi così con una domanda che la comunità degli storici si è invece posta da tempo. E cioè: quali sono, se esistono, le continuità sociali e culturali, in Italia, nel passaggio tra fascismo e Repubblica; in un momento dunque di profonde discontinuità politico-istituzionali? E come si collegano tra loro, oppure si disgiungono, la prima metà del primo e del secondo Novecento; gli anni Trenta, poniamo, e gli anni Cinquanta o Sessanta?’.

Hanno risposto a queste domande i relatori, con interventi di levatura incentrati, ad esempio, come ben esemplificato dai titoli soprascritti, sul problema dell’intensa organizzazione di mostre storico-politiche che caratterizzò gli anni Trenta e che fu uno dei più validi strumenti utilizzati dal regime per il conseguimento del consenso (si pensi alla Mostra della Rivoluzione Fascista o alla Mostra augustea della romanità), o sugli studi di De Felice, che toccano, in molti punti, la storia dell’arte, pur non essendo divenuti lettura corrente per gli storici figurativi (la tesi presentata dal professor Dantini ha inteso mettere in luce che la riflessione di De Felice sui temi del consenso e della nazione contiene spunti di interesse anche per gli storici dell’arte italiana del primo e del secondo Novecento), o ancora sul tema del paesaggio nell’arte italiana fra le due guerre, nella politica di valorizzazione delle bellezze naturali e del ‘volto amaro della patria’. Così come, negli anni Trenta, trovano peculiare declinazione le categorie di ‘effimero’, nella quale la creazione artistica, a fianco della canonizzazione di uno stile novecentista e littorio, trova spazi originali di sperimentazione, di ‘cinegiornale’ (il riferimento è al cinegiornale Luce, che, fra il 1941 ed il 1943, ospitò degli spezzoni dedicati a pittori e scultori coevi come Soffici, Romanelli e Tosi), e di propaganda culturale dell’Impero, con l’autopromozione futurista e la politica culturale, anche in relazione all’attività di Enrico Prampolini. Non mancano, tuttavia, anche riletture di Giotto e fenomeni di ‘giottismo’: quello insito in Francalancia ha i suoi presupposti nell’ambiente di ‘Valori plastici’ e nella rilettura che di Giotto fa Carrà negli anni Venti, spostando in chiave nazionalista una speculazione teorica sul cubismo, non disgiunta da un esoterismo di base. C’è, poi, come è stato illustrato, una ‘terza via’, rappresentata dalle esperienze di Silone e Greenberg e da quella del Convegno internazionale sull’architettura del 1936, che consentono di riscrivere, in parte, la storiografia dell’arte, e, in parte, la politica del regime, che ebbe indubbi contatti con la modernità, interpretandone alcune istanze profonde, per quanto piegandole ad un progetto politico conservatore.

Del tipo: ‘Uccidiamo il chiaro di luna’. Pur salvaguardando la luna.

 

 

 

 

 

 

 

 

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