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L’argilla della musica

‘Il suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti’ con Vincenzo Santarcangelo, Elvira Di Bona e Marco Momi: il secondo incontro del mese di marzo del progetto Umbrò Cultura, dedicato al rapporto del suono con la percezione della realtà

 
L’argilla della musica
Perugia.  Messaggeri di informazioni sugli oggetti che ci circondano. Entità evanescenti. Guide alla percezione uditiva, sentieri di un percorso attraverso vibrazioni atte a produrre sensazioni e dinamiche immersive, di ascolto. Ma anche l’argilla della musica, una materia da scolpire, da plasmare. I suoni sono questo. Ci sono aspetti che interessano il colore, la forma, la parola, un tipo di percezione più familiare. Anche se, spesso, la familiarità risulta essere latente. Specie quando ci si chiede cosa sia il suono prima della musica, nella categoria dello spazio-tempo.

All’auscultazione di un tema inedito, come quello dell’esperienza uditiva, vale a dire del rapporto del suono con la percezione della realtà, è stato dedicato il secondo incontro del mese di marzo del progetto Umbrò Cultura. A guidare il pubblico in questa indagine, dal titolo ‘Il suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti’, sono stati, il 28 marzo, nella sala libreria di Umbrò, in via S. Ercolano 2, a Perugia, il compositore Marco Momi – dopo aver studiato pianoforte, direzione d’orchestra e composizione a Perugia, Strasburgo, L’Aja, Roma, Darmstadt e Parigi, ha lavorato, presso l’IRCAM, dal 2007 al 2010. Ha ricevuto, per i suoi lavori, numerosi premi internazionali, come il Kranichsteiner Music Prize della città di Darmstadt. I suoi lavori sono eseguiti da Ensemble Intercontemporain, Nikel, PHACE, ASKO, Trio Accanto e in festivals come ManiFeste Paris, Warsaw Autumn, Bang on a Can New York. Dal 2008 è docente presso Conservatori italiani –, Vincenzo Santarcangelo – insegna al Politecnico di Torino, è membro del Labont – Università degli Studi di Torino e si occupa di filosofia della percezione, filosofia della musica ed estetica. Scrive di musica per il Corriere della Sera, la Lettura, il giornale della musica e Artribune e da Elvira Di Bona, in collegamento via Skype da Gerusalemme – ricercatrice alla Polonsky Academy del Van Leer Institute di Gerusalemme. Ha conseguito il Dottorato in Filosofia e Scienze cognitive presso l’Università Vita-Salute San Raffaele (Milano) e l’Institut Jean Nicod (Parigi). Si è diplomata all’Accademia nazionale di alto perfezionamento di studi musicali di Santa Cecilia –. Vincenzo Santarcangelo è autore, con Elvira Di Bona, dell’omonimo libro editato, a Milano, nel 2018, per i tipi di Raffaello Cortina.

‘Chi si avvicina la musica – è stato il commento di Marco Momi – lo fa per una dinamica immersiva, di ascolto. Oppure il suo può essere un contatto di natura secondaria con la musica attraverso un’esperienza di lettura o di approfondimento. Di rado si entra in contatto con le riflessioni che hanno a che fare con la materia in sé, toccando l’argilla dell’argomento e gli aspetti del colore, della forma, della parola, della percezione che rende il suono più familiare. Questa familiarità è, infatti, spesso latente. Il libro Il suono. L’esperienza uditiva e i suoi oggetti spiega al lettore cos’è il suono prima della musica: i riferimenti musicali, per quanto puntuali, sono limitati. Ci si concentra sul suono, sullo spazio, sul tempo, su cosa sentiamo e su come sentiamo’.

‘Cosa significa essere compositori, oggi?’ – è stata la domanda di Vincenzo Santarcangelo, che ha parlato ‘da ascoltatore perennemente insoddisfatto delle etichette affibbiate alla musica classica e contemporanea o di quelle discografiche di nicchia’. Ci sono i suoni. E poi ci sono gli oggetti musicali, come quelli che campeggiano sulla copertina del libro, che ritrae una natura morta con chitarra. La parola ‘oggetto’, filosofica, risulta problematica quando la si accosta al senso dell’udito, a dire il vero non molto indagato dalla filosofia, fatta eccezione per Pitagora o Aristotele. ‘Ci siamo fermati – ha proseguito Santarcangelo – là dove interveniva il musicale, anche perché tutti i suoni sono potenzialmente musicali, anche se ad alcuni offriamo un maggiore trattamento di favore. Intendevamo occuparci della percezione uditiva: mancava, infatti, in Italia un libro che parlasse del sistema uditivo e di come questa facoltà ci mettesse in contatto col mondo. Il suono è l’argilla della musica, una materia da scolpire, da plasmare, come altre materie fisiche’.

‘Anche questo è un evento sulla metafisica del suono, su come possiamo percepirlo’ – ha affermato Elvira Di Bona, che ha fatto leva sul fatto che i compositori riescano a scolpire il suono anche da un punto di vista estetico. Da filosofa, cerca di capire perché voglia dare una definizione alle cose. Ma, quando si tratta di musica, lei stessa dichiara che la tendenza sia quella di esentarci dal dare una risposta. Anche perché al suono si aggiunge il silenzio, la pausa. Il silenzio si può ascoltare? ‘Il silenzio – è stata la risposta di Momi – è un elemento centrale, perché permette una dinamica di valorizzazione’. Il suono può essere isolato, si può lavorare sulla sua tenuta, per ‘stirarlo’ o per farlo esaurire. Poi ci sono altri due aspetti di fondamentale importanza: l’alterità dell’ascolto e la temporalità, condizione tangibile di fondo, quest’ultima, per chiunque voglia scrivere di musica. Il suono vive in una dinamica di temporalità, in quanto entità visibile, analizzabile, scomponibile, ma anche complessa, a causa dell’altra sua natura: atemporale. Temporalità e atemporalità del suono, dunque. Il compositore, dal canto suo, non manipola il suono, ma la percezione del suono, che interessa aspetti cognitivi e mnemonici, come in un gioco di lenti. La musica, in fondo, ‘è tutto ciò che si ascolta con l’intenzione di ascoltare musica’. Musica che crea un cambiamento, sia in chi la scrive, che in chi la ascolta. ‘Il suono è un’entità temporale – è stato il contro-canto di Santarcangelo – in quanto rientra nella categoria degli eventi: è fuggevole e non è afferrabile, se non servendosi di stratagemmi, come quello di farlo diventare un’immagine, un oggetto sonoro, staccandolo dalla fonte che l’ha generato’. Vedere il violinista che suona o il legno del violino e associare il suono di questo strumento alla sua fonte di origine ci capita di rado, ormai.

Ma non nel caso, ad esempio, di Sensate Focus di Alexander Schubert, in cui lo strumento viene percepito sia dalla vista che dall’udito. Questo va ad avvalorare un trend delle scienze cognitive, che tendono a ricollegare il suono alla fonte, attivando molteplici esperienze sensoriali, una sinergia fra i sensi, una interazione fra modulo visivo e modulo uditivo. Perché l’oggetto percettivo è uno. E perché, se possiamo chiudere gli occhi, ‘le orecchie non hanno palpebre’. Eppure, possono cogliere la matericità dell’argilla della musica: il suono.

 

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