Al ritmo, ossessivo e tribale, che informa di sé il graffitismo, e, più nello specifico, alla possibilità comunicativa insita nella Street Art è stata dedicata la tavola rotonda, promossa dall’associazione culturale AboutUmbria e dal progetto Umbrò Cultura e coordinata da Matteo Piselli – ideatore di una App 1.0 di censimento delle opere d’arte umbre – che si è tenuta, giovedì 16 maggio, nella rinnovata sala-libreria di Umbrò, in via S. Ercolano 2, a Perugia.
L’idea è nata dalla consapevolezza che le nuove generazioni, dettando regole e tendenze, danno vita a nuovi modi di comunicare o di reinterpretare il linguaggio. Interpretare e comprendere il linguaggio della Street Art significa entrare in contatto con le aspettative di un’intera generazione e tentare di rispondere ai seguenti quesiti: si può giungere ad un decoro urbano attraverso la Street Art? Quali sono le differenze tra Street Art spontanea e Street Art su commissione? I musei urbani all’aperto possono riqualificare le città? Come viene percepita la Street Art dai cittadini? Quali sono i punti di contatto tra arte contemporanea e Street Art? La tavola rotonda ha registrato la partecipazione di artisti e di esperti nel campo della comunicazione e dell’arte. ‘Intendiamo mettere nella stessa stanza artisti, curatori, esperti del settore e persone’ è stato il commento di Matteo Piselli, che ha esordito affermando che, spesso, la Street Art è vista come una non-arte, come un insieme neanche troppo sistematico di ‘muri imbrattati’.
Così, stando alle testimonianze degli artisti presenti durante la prima sessione del dibattito – Ache77, Maqcèd, Ob Queberry Artwork, Il coffee –, non è. Da via Sicilia alla zona della stazione di Fontivegge, l’arte per Maqcèd e per la sua bomboletta, bomboletta che ha prestato anche per la realizzazione di un’opera a Ponte San Giovanni in collaborazione con Mp5, è, anzitutto, una questione identitaria, di ricerca personale di quegli spazi spesso non concessi dall’amministrazione e che gli artisti si contendono, passando, inevitabilmente, a volte, dal muro alla tela. Con la speranza di tornare al muralismo. Da Londra a Urbino, passando per Spoleto, le opere di Ob Queberry Artwork – fra cui lo Zoo urbano o Mask, riconoscibilissime nella loro cifra stilistica e con l’unico intento di ‘occupare una via’ – recano la stessa firma da dodici anni: uno pseudonimo, il suo, un nome inventato, ‘un po’ come quando Gigi Proietti finge di parlare in inglese’. Da Marsciano a Foligno a Bastia, l’arte de Il coffee è disseminata un po’ in tutta l’Umbria, attingendo a ciò che a lui ‘piace, dall’arte classica allo sport al cinema’. E non è, allora, un caso, se le nature morte del Caravaggio vengano sostituite dal McMenu o se, lungi dalla blasfemia, le Madonne di sconosciuti pittori siano modificate dall’inserzione di emoticon. Follonica, una delle terre promesse del lavoro di Ache77, per cui la serialità nella riproduzione del volto di una figura femminile, sempre lo stesso, coincide con il riproporre lo stesso soggetto in contesti diversi. ‘Lo stesso soggetto – ha dichiarato l’artista rumeno – in contesti diversi cambia, così come cambia se vengono applicate tecniche diverse o se viene eseguito su diverse superfici’.
Che dire, poi, del rapporto fra arte spontanea e arte su commissione, alla luce del fatto che anche alcuni lavori commissionati sono Street Art? Che dire, ancora, dei giovani artisti cresciuti con lo sviluppo del marketing e della pubblicità? Dell’ipercontemporaneità, della mancanza di filtri, a fronte dei musei, intrinseca nelle aree dismesse, nelle fabbriche abbandonate, dove, spesso, campeggiano opere di Street Art? C’è un alfabeto per la Street Art? Un legame con la serialità, ad esempio, delle avanguardie artistiche? Se esiste un manifesto per il graffitismo, la Street Art attinge a varie tecniche, non può essere ridotta ad un manifesto con funzione estetica: attinge alla litografia, alla silografia, ad esempio, e con una stessa bomboletta si possono realizzare fino a tre copie di un’opera.
La seconda sessione della tavola rotonda ha visto la partecipazione di curatori e di membri di associazioni, che hanno discusso sul ruolo della Street Art nella comunicazione dell’arte. Se la Pro-loco di Collazzone ha indetto un bando di concorso per riqualificare lo spazio urbano attraverso la Street Art e il muralismo – i murales su commissione, destinati ad aggiornare l’offerta culturale, devono ruotare attorno all’argomento ‘acqua, terra, cibo’ e le candidature possono essere presentate fino al prossimo 31 maggio –, è intervenuta nel dibattito anche Giulia Paciello di Comma Art City Project, progetto che, a partire dal 2012, ha portato , da piazza del Bacio a Monteluce, la Street Art nel capoluogo umbro, con il coinvolgimento di artisti e writers internazionali, che hanno saputo cambiare e valorizzare alcuni scorci della città, esplorando e ridefinendo il tessuto cittadino in un laboratorio a cielo aperto e in un work in progress su scala urbana. Gli interventi di Matteo Bidini (Street Levels Galleria di Firenze) e del critico d’arte Andrea Baffoni hanno focalizzato, rispettivamente, l’attenzione sulla funzione del contro-messaggio che può avere, ad esempio, la sovversione della pubblicità, da cui gli utenti e i consumatori sono letteralmente ‘bombardati’, e sull’importanza dell’interazione fra arti diverse, in un contemporaneo ‘girotondo delle muse’. Muse, che fanno il girotondo anche negli iperluoghi della contemporaneità come gli outlet: di recente, Andrea Baffoni ha curato una mostra d’arte contemporanea a Valdichiana, ‘perché la Street Art è libera, clandestina, non garantita dai musei e perché, quando diventa commerciale, si riduce a un mero brand, perdendo quel sentimento di sfida che la connota’.
E, allora, la si colloca in un iperluogo in cui non è richiesta. In cui può espandersi su qualsiasi superficie, come voleva Keith Haring. Come un inno alla vita e come un modo per contrastare l’horror vacui.
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