martedì, 22 ottobre 2024 Ultimo aggiornamento il 21 ottobre 2024 alle ore 10:08

Parole, non ostili, a scuola

Intervista ai docenti-referenti del progetto ‘Parole Ostili’ promosso dal liceo scientifico annesso al convitto nazionale ‘Principe di Napoli’ di Assisi, diretto dalla professoressa Annalisa Boni

 
Parole, non ostili, a scuola
Assisi.  Creare, ingannare, persuadere, guarire, ferire, emarginare: le parole, le nostre parole, possono fare tutto questo. E anche di più. Per non essere ‘ostili’, per educare al rispetto dell’opinione contraria e all’argomentazione di punti di vista differenti, le parole necessitano di essere insegnate – e imparate – nel contesto-scuola, una delle specole privilegiate da cui guardare al problema, se è vero che una delle funzioni dell’insegnante è proprio quella di ‘fornire parole’, di lavorare sul lessico delle varie discipline per contrastare la rapidità (e la dispersione) dell’informazione e inventare un modo di concepire il concetto di ‘enciclopedia’, come lo intendeva Umberto Eco, che sia più appettibile rispetto ad Internet.

Di questo e di altri temi riguardanti i mezzi e gli strumenti per contrastare l’ostilità delle parole abbiamo parlato con i referenti del progetto ‘Parole Ostili’, promosso dal liceo scientifico annesso al convitto nazionale ‘Principe di Napoli’ di Assisi diretto dalla professoressa Annalisa Boni. Il progetto, attivo per l’anno scolastico 2019-2020 e in sinergia con l’associazione ‘Parole Ostili’, che ha promosso all’Università Cattolica di Milano la giornata ‘Parole a scuola’, ha registrato l’attiva partecipazione dei docenti Michela Stoppini, Federico Della Bina e Nicoletta Omicioli, e degli studenti del liceo assisano.

Insulti, discriminazioni, tendenze alla misoginia e alla misantropia, istigazione alla violenza, omofobia, fake-news dal retrogusto razzista e anti-scientifico immesse nella rete da chi inquina il web: anche e soprattutto queste sono ‘parole ostili’. Qual è il senso del progetto da voi messo in essere? Quali, le sue finalità? E, non da ultimo, cosa significa ‘acquisire consapevolezza del potere della parola’?

«La giornata intitolata ‘Parole a scuola’, promossa dall’associazione ‘Parole Ostili’ presso l’Università Cattolica di Milano, alla quale abbiamo partecipato come docenti, ha maturato innanzitutto in noi insegnanti la consapevolezza dell’enorme potere della parola. Il nostro lavoro si basa sull’uso della parola per trasmettere contenuti e conoscenze, in questo specifico ambito siamo attenti nello scegliere le parole giuste, ma anche le nostre relazioni, quelle tra insegnanti e studenti, sono fatte di parole. Su questo versante abbiamo tutti necessità di intraprendere un percorso permanente di formazione. Questo progetto si propone di sviluppare, a partire dall’ambiente scolastico, una riflessione sul valore relazionale delle parole che vuol dire porre maggiore attenzione nello sceglierle, consapevoli del fatto che queste ultime possono creare, incantare, guarire ma anche ferire, offendere, ingannare, distruggere, emarginare».

Qual è, a vostro avviso, il ruolo della scuola nella promozione di iniziative come questa, volta a sviluppare una cultura digitale in grado di contrastare il discorso dell’odio in rete, le varie forme di cyberbullismo e la messa in circolazione di fake-news?

«Certamente l’iniziativa è volta a sviluppare nei ragazzi una consapevolezza dell’utilizzo della parola nel senso più ampio del termine anche e soprattutto in Rete, che di fatto rappresenta l’ambito privilegiato di interazione giovanile. Da recenti ricerche emerge che i ragazzi di fronte a messaggi d’odio in Rete mantengono molto spesso un atteggiamento di passività o indifferenza. Sicuramente in questo non li aiutano certi modelli politici e mediatici che hanno notevolmente contribuito a sollecitare la parte istintiva della società, facendo leva su paure e timori e legittimando l’uso di alcuni termini che contribuiscono a ‘incattivire’ e avvelenare la vita reale. Rispetto a ciò è opportuno che la scuola aiuti i ragazzi a mantenere un pensiero critico, a vagliare in modo attento e personale le informazioni, risalendo alle fonti, tenendo conto dei contesti e soprattutto eliminando i pregiudizi».

‘Stimolare ad una partecipazione più attenta e attiva nell’ambito di un contesto comunicativo. Educare al rispetto dell’opinione contraria e all’argomentazione dei propri punti di vista. Realizzare elaborati artistici a partire da idee, concetti, principi. Trasformare e arricchire l’ambiente scuola di contenuti espressi attraverso immagini’. Sono questi alcuni degli obiettivi perseguiti dal progetto, che sviluppano i dieci punti costitutivi del ‘Manifesto della comunicazione non ostile’. Quali sono, nello specifico, questi punti e qual è la funzione svolta dal piano dell’espressione artistica in questo progetto?

«La nostra scuola sta lentamente diventando una sorta di ‘museo delle Parole Ostili’. Sono diversi oramai i murales che decorano, assolvendo anche ad una funzione pedagogico-educativa, i corridoi principali dell’Istituto. Opere grafiche in grado di comunicare e trasmettere valori mediante un approccio artistico diversificato fatto di linguaggi simbolici e allegorici, manifestati con i più diversi materiali. Immagini realizzate in tessuto, a rilievo o dipinte, esternano con forza ed incisività pensieri che si concretizzano in forme accompagnate da frasi e parole estrapolate dal manifesto delle ‘Parole Ostili’. Una galleria di colore e di linee che intersecandosi danno plasticità formale e concettuale alle candide pareti bianche. Il ‘lungo’ percorso creativo è stato sempre preceduto da un momento laboratoriale-progettuale, finalizzato all’individuazione dell’idea e del linguaggio artistico più efficace da mettere in atto. Questa prima fase è stata seguita poi dalla scelta del luogo in cui installare ciascun elaborato grafico».

L’utilizzo inconsapevole dei social sta cambiando le persone? L’educazione digitale rappresenta la vera battaglia sulla quale giocare il futuro della rete, muovendo proprio dal contesto-scuola?

«‘Noi tutti alle prese con Internet siamo un po’ come neopatentati alla guida di una Ferrari’. Con queste parole la sociolinguista Vera Gheno esprimeva, nella giornata di Milano per ‘Parole Ostili’, il diffuso analfabetismo presente nella nostra società rispetto all’uso di internet. Serve costruire percorsi educativi a scuola, programmi televisivi ad hoc per conoscere i rischi. Proprio perché la Rete e i social network sono luoghi virtuali dove si incontrano persone reali, dobbiamo domandarci chi siamo e come vogliamo vivere e comunicare anche mentre abitiamo questi luoghi. I ragazzi devono essere consapevoli del fatto che il tempo che dedicano al virtuale, le modalità con le quali interagiscono, hanno ripercussioni nella loro vita reale in termini di interessi e rapporti.  In rete è più difficile prendersi il tempo di ascoltare perché gli scambi sono più veloci mentre l’ascolto è fondamentale per determinare un’interazione efficace e serena con chi parla. Il contesto-scuola può aiutare i ragazzi a mettere in primo piano l’ascolto nella loro vita reale e virtuale».

Nel suo ultimo libro, edito da Rizzoli nel 2017, Far Web. Odio, bufale, bullismo. Il lato oscuro dei social, Matteo Grandi, una delle voci più influenti del Web, tratta argomenti insidiosi, di un’attualità stringente, quali insulti e discriminazioni, esito dell’hate-speech, che nella rete viene amplificato. Il suo messaggio è questo: non dobbiamo assuefarci all’idea che in Internet sia tutto consentito, che il Web sia una ‘terra di nessuno’, in cui non vigono regole di sorta. Derrick de Kerckhove, considerato l’erede mortale di McLuhan, d’altronde, ha affermato che ‘oggi la rete è vissuta dagli utenti come un ambiente a parte’. Siete d’accordo?

«Certamente il Web non va demonizzato anche se esiste un uso improprio del sistema. A tale proposito si può affermare che il Web spesso riflette e riproduce meccanismi, tendenze, pensieri già presenti in modo latente nella vita reale che poi trovano in Rete il coraggio di manifestarsi perché il ‘virtuale’ è percepito da chi è l’autore di messaggi di odio come un alibi, uno ‘schermo’ che lo protegge e non lo costringe a guardare negli occhi l’altro che si trasforma in una ‘vittima’ piuttosto che essere un ‘interlocutore’. L’insulto, l’offesa, la denigrazione non sono argomenti (come afferma il nono dei punti del Manifesto di ‘Parole Ostili’) né nella vita reale né in quella virtuale».

Matteo Grandi nel suo libro afferma che criminalizzare il Web non è giusto. Lo stesso Bolter, riferendosi alla presentazione trasparente dell’oggetto-testo sullo schermo, diceva che ‘l’ipertesto elettronico può rendere visibile la struttura, laddove la sua architettura formale si concretizza come link tra gli episodi. Leggendo un episodio, il lettore può avere la possibilità di guardare, attraverso il testo, il mondo immaginato dall’autore’. Un primo passo verso l’eliminazione dell’ostilità delle parole?

«In fondo il Web è un grande ipertesto che offre ad ogni suo lettore la libertà di interagire. Il suo fruitore-lettore non è passivo (come nella lettura di un testo scritto), può scegliere come muoversi all’interno dei contenuti. Questa libertà e possibilità di interazione investe il lettore di una grande responsabilità e richiede un percorso di formazione ed educazione perché la lettura e l’interpretazione possano essere rispettose del pensiero altrui. Detto questo il grande ipertesto Web apre alla condivisione e allo scambio che presuppongono in sé l’eliminazione di qualunque forma di ostilità».

 

 

 

 

 

 

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