Studiare il libro nelle sue molteplici componenti significa indagare i rapporti che coesistono fra i supporti materiali, nella loro evoluzione nel tempo, e i processi di codifica e decodifica, ricezione e fruizione del testo. Significa studiare l’origine e le pratiche scaturite dalla scrittura e analizzarne le forme. E, non da ultimo, oltrepassare i confini del segno alfabetico sino a comprendere sistemi semiotici come i testi verbo-visivi, e, perché no, le scritture rupestri, i testi graffiti, il libro nella sua fisicità, il taccuino e il diario corredati di elementi autografi, i supporti digitali contemporanei e quelli che concretano e ospitano ogni forma di testimonianza scritta. Perché la relazione iconico-linguistica può agire come punto di raccordo fra diversi campi disciplinari: l’iconologia, la semiotica del testo e della cultura, l’estetica, la critica letteraria, la bibliologia. Pur mantenendo salda la coerenza tematica, che, grazie agli strumenti della semiotica del testo, permette di approfondire la natura dei diversi processi di interpretazione e riscrittura, mediante una trasposizione intersemiotica che dallo scritto giunge al figurato e all’audiovisivo, percorrendo (anche) i meandri dei dintorni del testo, della paratestualità.
È di questo (e non solo di questo) che si occupa l’unico indirizzo tematico, in Scienza del libro e della scrittura, del Dottorato di ricerca in Scienze letterarie, librarie, linguistiche e della comunicazione internazionale dell’Università per Stranieri, coordinato dalla professoressa Giovanna Zaganelli, direttore del Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dello stesso Ateneo perugino. E giovedì 17 gennaio, alle 15.00, nella sala docenti della palazzina Valitutti, i dottorandi Roman Winter, Federico Meschini, Puma Valentina Scricciolo, Pierpaolo Trevisi, Maura Funari e Luca Montanari hanno esposto ad una commissione presieduta dalla professoressa Giovanna Zaganelli e composta dai docenti Fabrizio Scrivano, Andrea Capaccioni, Antonio Allegra e Michele Dantini, gli esiti delle ricerche condotte sinora e lo stato di avanzamento dei lavori. Filo rosso conduttore, il libro e la scrittura, come punto di raccordo di progetti diversi fra loro, ma radicati nel binomio scrittura-lettura, come due pratiche di produzione di senso, in cui la prima altro non è, per dirla ancora con Barthes, ‘un esercizio monumentale di ripetizione’, ‘un satori’, che fa vacillare la conoscenza e crea un vuoto di parola. Dal terreno, misterioso e lucidissimo, della fiaba nord-europea, delle saghe, dei racconti popolari su streghe e sirene, indagato, mediante uno spoglio della banca-dati danese e olandese, da una prospettiva semiotica, attraverso gli strumenti di analisi che erano stati propri di Propp o lo schema narrativo canonico elaborato da Greimas, ad altri data-base, alle biblioteche e agli archivi digitali, che analizzano, applicando i risultati della ricerca quantitativa a dati qualitativi, e mediante l’uso dei progressi attuati nell’alveo della filologia digitale e dell’informatica umanistica, intese sia in senso diacronico che sincronico, l’oggetto-libro nella sua fisicità e l’edizione di un testo come macchina computazionale. Una combinazione, questa fra hard sciences e soft sciences, fra informatica, bibliologia e media-studies, fra i diversi settori i cui la testualità digitale si è declinata, fino a incorporare gli ambienti testuali dei social-network, da analizzare come delle vere e proprie narrazioni, sulla base della pratica dello storytelling e dell’applicazione incrociata del modello gutenberghiano e televisivo. Dallo spoglio delle missive facenti parte dell’epistolario della scrittrice Clara Sereni e dalla scrittura del sé, del libro di famiglia, della memoria privata novecentesca alla creazione di nuovi miti post-risorgimentali, fino all’analisi della documentazione conservata alla Fondazione Gramsci, all’Archivio Bonsanti, all’Istituto di cultura italiana di Tel Aviv, al fine di indagare il rapporto di una delle tre donne di Casa Sereni con la scrittura e con il mondo dell’editoria. Ancora, dai venti testi graffiti intorno al 1386 – gli anni dello Scisma, dei due Papi, della costruzione della biblioteca in San Francesco d’Assisi, dell’arrivo di una ipotetica Apocalisse –, scritture esposte, presumibilmente della stessa mano, e incise a due metri e mezzo da terra, al di sotto del ciclo giottesco nella Basilica assisana, all’indagine condotta nei dintorni del testo sui significati della coperta del libro, dall’invenzione della stampa, fino agli e-book, passando per la via etica del senso, attraverso uno studio dell’ermeneutica del testo sacro, nei suoi aspetti teoretici ed epistemologici, concretatisi nelle pratiche dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islamismo.
Tutte ricerche, queste, condotte nella consapevolezza che, come scriveva (ancora) Barthes, ‘la scrittura è sovente (sempre?) servita a nascondere ciò che le era stato affidato’, contro una concezione della scrittura come ancella tardiva della parola. La funzione comunicativa del testo scritto è posteriore rispetto a quella estetico-rituale. Tanto che, un tempo, ‘il vento avrebbe confuso le lettere, così che nessuno, tranne gli uomini sacri, avrebbe potuto carpirle’.
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